Eco-frizioni dell’Antropocene
Eco-frizioni dell’Antropocene è un progetto di ricerca che analizza contesti geografici che in passato sono stati teatro di processi di intenso sfruttamento economico e industriale, di tipo neocoloniale o postcoloniale, e che oggi si aprono a nuove forme di sviluppo territoriale, ispirate ai valori della sostenibilità, della conservazione, del patrimonio e del risparmio energetico. In particolare, il progetto è interessato a studiare come settori significativi della “società civile organizzata”, delle istituzioni e del mondo imprenditoriale attuino pratiche volte a iscrivere i territori in esame in regimi morali, economici e discorsivi alternativi a quello di uno sfruttamento immediato e distruttivo dell’ambiente e delle risorse naturali. Tra le direzioni in cui si articola tale tendenza, due sembrano avere una particolare rilevanza: da un lato, una tendenza patrimonializzante, nel caso di progetti di conversione che fanno leva su specifici “beni” (culturali e naturali, materiali e immateriali) esistenti nei territori; dall’altro, una tendenza alla sostenibilità, nel caso di progetti di conversione che fanno leva sul rinnovamento ecologico e sull’uso alternativo delle risorse naturali (nella direzione, ad esempio, di un’economia “verde” e/o “blu”).
Spazio di analisi del progetto…
Il progetto mira ad analizzare queste due aree di “attrito”, spesso interconnesse: la prima patrimoniale, la seconda ecologica. In entrambi i casi, sia che le eco-frizioni trovino espressione in processi di manipolazione retrospettiva delle identità collettive, sia che esse ruotino attorno a proposte alternative per la gestione delle risorse e dell’energia, la dimensione politica gioca un ruolo decisivo, così come la dimensione ideologica/culturale e linguistico-discorsiva, che il progetto analizza congiuntamente.
Lo spazio di analisi del progetto è disegnato dall’intersezione di diversi campi di ricerca (italiani: Sicilia, Sardegna, Campania; latinoamericani: Messico, Ecuador e Perù), uniti dalla presenza di forti conflitti legati alla gestione ambientale, dove lo sfruttamento energetico e l’industrializzazione di massa coesistono con la retorica della conservazione e della sostenibilità, dove il saccheggio economico e il degrado ambientale sono associati a forme di capitalizzazione dei territori e di tutela della loro biodiversità.
Italia meridionale e America Latina
In particolare, il progetto si concentra su alcune località delle dell’Italia insulare e meridionale (in Sicilia, le tre aree interessate dall’industrializzazione petrolchimica di Gela, Siracusa, Valle del Mela; in Sardegna, il bacino carbonifero della Sardegna sud-occidentale, l’area archeologica dell’alto Campidano e alcuni siti minerari della provincia di Cagliari, in Campania le aree rurali del casertano e del napoletano e gli orti urbani di Napoli) e tre aree emblematiche dell’America Latina: il Messico meridionale (l’area di estrazione e raffinazione del petrolio e conversione eolica dell’istmo di Tehuantepec), l’Ecuador (la regione amazzonica di Morona-Santiago, una regione dove allo sfruttamento minerario corrisponde il depauperamento culturale e linguistico), e infine l’area mineraria andina nei pressi del Cuzco (patrimonio archeologico e culturale riconosciuto globalmente). Si tratta di diversi punti di osservazione (sia in termini di localizzazione territoriale che di esperienza storica) di quello che è, però, lo stesso processo globale di ridefinizione delle politiche industriali di estrazione e “conversione” dell’energia, non solo produttiva ma più estesamente territoriale.